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Dakroth

Ultimo Aggiornamento: 21/04/2015 00:13
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Città: VENEZIA
Età: 54
Sesso: Femminile
18/04/2015 13:09

Dakroth Fröstangel Larsen

Le origini.


Ingvar, distretto di Mälardalen, Svezia.
L'anziano incideva rune sulle pietre, il suo volto ieratico trasmetteva fierezza e compostezza, nonostante lui e gli astanti fossero li per commemorare i morti. Quella volta la spedizione era stata disastrosa. Cinque drakkar, navi veloci e maneggevoli, erano partiti sotto il comando di Dakroth e non ne era tornato nessuno. Una generazione di giovani uomini spazzata via e, quel che era peggio era che ogni donna piangeva, insieme ai morti, la consapevolezza che avrebbero dovuto unirsi agli uomini di altri clan, se volevano ripopolare il villaggio. Ma non sarebbe mai stato il loro sangue.
La donna accanto al vecchio era Ingrid, moglie di Dakroth nonché nuora dell'anziano Björn, incisore e capo clan. Come tutti, in quella pallida giornata battuta dal vento e dal nevischio di un lungo inverno, si stringevano addosso le pelli d'orso, intonando un canto lugubre e profondo, in cui le voci si confondevano con l'ululato del vento. Calde lacrime rigavano il volto sporco di Ingrid, mentre accarezzava il grembo gonfio e sussurrava al bambino, ma la sua voce era coperta dai lamenti del popolo.
Ciò che rendeva ancor più triste il rito era la mancanza dei corpi da seppellire, insieme alle loro armi, le spade, compagne tanto in vita quanto nella dimora di Hel, con il loro potere magico e una personalità ben definita. Avrebbero eretto tumuli senza resti al di sotto.
Infine, come nulla fosse, anche quella giornata volse al termine, gli dei rimasero indifferenti alle pene degli uomini, tranne Fenrir il lupo, uno dei due figli che il dio Loki ebbe da una gigantessa. Egli parlò in sogno a Ingrid, annunciandole che il figlio non ancora nato sarebbe stato come lei. Quella notte Ingrid parlò al figlio "porterai il nome di tuo padre, un grande uomo, ma sarai il mio piccolo angelo del ghiaccio... Dakroth Frõstangel Larsen".

Il passato.


La prima volta nemmeno la ricordo, tanto ero piccolo, ma so che è successo perché avevo paura. Uomini a cavallo, armati, grossi e puzzolenti avevano attaccato il villaggio. Ricordo le urla, il mio terrore che si rifletteva negli occhi di chi incrociava il mio sguardo... e viceversa. Il resto è un racconto di mia madre, ormai confuso e lontano, perso nelle nebbie del tempo e forse gonfiato dall'amore di un genitore. Comunque, ogni volta, un particolare si aggiungeva, così oggi non so cos'è vero e cos'è fantasia. Ma tant'è, questi sono gli unici indizi che ho della mia prima mutazione.
Le unghie si piantarono nel terreno, i solchi a terra erano ben visibili mentre le fauci di quella che agli occhi di chiunque altro poteva sembrare una belva feroce si chiudevano sul mio collo e venivo trascinato via. Strano a dirsi, non sentii alcun dolore, ma la pelle del bambino era già diventata la collottola della bestia.
Mia madre diceva di averlo capito la prima volta che ha posato lo sguardo su di me, diceva di averlo sentito, percepito, che ero uguale a lei. Chissà. Diceva che funziona proprio così, ma che non poteva spiegarmelo meglio perché era una questione di sensazioni, che prima o poi avrei capito. Fatto sta che l'istinto ha guidato la mia prima volta, ma non dev'essere stata una cosa dolorosa, altrimenti penso che lo ricorderei. D'altro canto, quando mia madre si accorse che la metamorfosi era cominciata, decise che doveva lasciar fare a madre natura, che poteva solo trarmi in salvo com'era capace... e quello era il modo migliore, più veloce.
Dopo di allora, con i superstiti abbiamo cominciato a spostarci, ma la pace non durava mai abbastanza. Spostamento, attacco, spostamento, attacco. Non siamo un popolo bellicoso, solo animati da una forte spinta espansionistica, votati alla scoperta e alla conquista. Feriti e morti sono solo il prezzo da pagare, un tributo pesante ma inevitabile.
Infine, il fiordo è diventato la nostra casa, abbiamo costruito imbarcazioni che potevano, all'occorrenza, metterci in salvo. Il mare, che aveva ucciso mio padre, poteva essere la mano salvifica per il figlio.
Nel frattempo, io crescevo ed imparavo, ho avuto la fortuna di avere una madre, tanto umana quanto mutaforma, che mi ha spiegato quanto importante fosse, per me, mischiarmi agli uomini, imparare le loro abitudini e nascondere il mio essere diverso. Diceva che ne avrei avuto bisogno, un giorno, anche se io continuavo a sentirmi più animale che umano ma, allo stesso modo, avrei sentito la necessità d'un branco e di pari razza.
Spesso lasciavamo il clan alle sue attività, per rifugiarci nel folto, dove mia madre poteva insegnare e spiegare ciò che ero. Ma come si fa a dire ad un bambino che è destinato ad essere solo, per quanto possa mischiarsi agli altri?
Mi insegnò a capire i segni del passaggio dell'uomo, quando carovane di carri si spostavano dai villaggi ai mercati, mi insegnò a seguire gli umani per sfruttarne le conoscenze, persino gli avanzi. In forma umana mi insegnò ad arrampicarmi sugli alberi, a correre su terreni impervi, spesso anche senza scarpe... già, in parte anche perché non avevano abbastanza denari per comprarle. Mi insegnò come gettare occhiate fugaci a terra mentre correvo, per non mettere il piede in fallo. Mi ha insegnato quando abbassarmi e quando saltare tra le fronde incolte dei boschi.  Mi ha fatto saltare di pietra in pietra per guadare un fiume senza scivolare e finirci dentro. Salta Dakroth, piega le gambe, tienile un po' più larghe, lo vedi quel ramo, ce la puoi fare... no, non così, allungati, dai un bel colpo di reni, alza le braccia, dai forza! E se quel giorno non ci riuscivo, il giorno dopo eravamo di nuovo li, stesso posto, a riprovarci. Il giorno che raggiunsi il ramo pensavo fosse finita. E invece ho dovuto imparare a sollevare anche le gambe fino a poter incrociare i piedi al di sopra, poi a tirarmi su e a girarmi per starci seduto. Giorni e giorni passavano, il solo scopo di mia madre era prepararmi ad arrangiarmi da solo.
In forma animale... beh, ero un lupo, era tutto più semplice, mi sentivo nel mio elemento, ma questo non significa che non avessi ugualmente bisogno di una guida. Segui le tracce Dakroth, non lasciarti fermare da un tronco abbattuto, aggira l'accampamento, non far rumore. Annusa l'aria, segui l'istinto. E le corse contro il vento, con la neve che si abbatteva sferzando il muso, testa bassa e orecchie indietro per combattere il freddo e il vento, per non disperdere calore. E si ricominciava. In piedi sulla lastra di ghiaccio ch'era divenuto lo stagno, le zampe che scivolavano e si aprivano e la pancia e il muso che ci sbattevano contro. Giorno dopo giorno, finché trovai l'equilibrio, finché le zampe non tremarono più e i passi sul viscido ghiaccio si fecero più sicuri, fino a riuscire a correre... un inverno intero! Che fatica! Che soddisfazione!
Mi sono tagliato, ferito, slogato, ma tutto ciò mi ha reso più forte e agile, sciolto nei movimenti, veloce. Posso rubare un pezzo di carne sanguinolenta agli uomini e scappare come un fulmine prima ancora che si accorgano che gli è sparito.
Lei mi ha reso ciò che sono, ma lei non c'è più.
Poi il fiordo comincio a starmi stretto, sentivo il bisogno di espandere i miei orizzonti, in fondo ero figlio di mio padre e del mio popolo, mosso dalla stessa sete di scoperta, a cui si aggiungeva la volontà di trovare altri come me.
Adulto, mi imbarcai, lasciando le poche cose che possedevo. Non sono mai stato legato agli oggetti, sono solo strumenti e gli uomini... il mio popolo non poteva più darmi né insegnarmi nulla dalla vita. Dovevo trovare altre vie, altre frontiere, altri orizzonti.
Infine sono giunto qui, alle porte di Barrington. Devo fermarmi, un posto vale l'altro dicono... eppure sono salito e sceso più volte dagli alberi al limitare d'un bosco marcescente poco lontano dalle mura del borgo. Ho osservato gli umani, giorno e notte, entrare ed uscire da quella cinta fortificata e ho visto strane creature. Forse non è vero che un posto vale l'altro. Forse qui posso trovare qualcuno come me.
Sto bene con me stesso anche fossi l'unico, soprattutto nella mia pellaccia coperta di pelo, ma so che da qualche parte ne esistono altri, lo sento, e se non sono l'ultimo della specie, voglio trovarli.

Il presente.


Puzza. Odore di escrementi, di avanzi di cibo, di civiltà, di uomini ammassati in poco spazio. Colpisce i sensi come un pugno allo stomaco. Ritto sulle gambe della tua forma umana, dinanzi ai bastioni del borgo, osservi un corvo con il suo volo sgraziato che va a posarsi su di un punto lassù, sopra l'immenso portale che tiene fuori la natura. Espelli l'aria dal naso con forza, sperando che la prossima boccata d'aria porti qualcosa di meglio. Dopo notti passate a dormire sotto un albero, con il muso fra le zampe posteriori e la coda a coprirlo, hai deciso di buttarti in questa nuova avventura. Mocciosi passano urlano, si rincorrono, l'unica loro preoccupazione è rientrare in casa prima che faccia buio. Piccoli delinquenti in erba. Li segui con lo sguardo, vedendoli sparire all'interno. Le porte della città, come le fauci spalancate di un'immensa creatura che tutto inghiotte. Lo sguardo scivola sulle mura, seguendone il profilo da un lato e dall'altro, sembrano perdersi oltre l'orizzonte, ma sai per esperienza che piegheranno, ad un certo punto, per andare a chiudersi da qualche parte, a retro di tutti quegli edifici che vedi solo in parte. Le guglie di qualche torre più alta.
Varchi per la prima volta l'ingresso di quel borgo che a lungo hai osservato, altri odori. Quelli di un mercato che sta chiudendo i battenti, uova marce, pesce, carne salata. Potresti enumerare ogni mercanzia viva di quel mercato. Lo stomaco si fa sentire, è tutto il giorno che non mangi.
Avanzi fino al centro della piazza, andando a cacciare la testa dentro la fontana. Le mani si portano al volto e strofinano on forza. Via lo sporco, via la stanchezza. Trattieni il fiato fino a non poterne più, fino a quando i polmoni bruciano. Poi riemergi al presente. Scuoti la testa schizzando ovunque, rivoli freddi che scendono lungo il collo, a bagnare pelle e stoffe. Vivo. Sveglio.
Poche persone che si affrettano, il calar della sera che allunga le ombre a terra, qualche torcia inizia ad accendersi qua e la. Nessuno fa caso al forestiero, nessun sorriso, nessun segno di gentilezza ed ospitalità. Non è posto per stomaci deboli questo. Allunghi un braccio per afferrare quello di un passante. Che c'è, che vuoi? Non voglio nulla da te, solo sapere dove posso passar la notte. Il braccio liberato che s'alza ad indicare un intrico di viottoli alle tue spalle. Per di la c'è una taverna, vai al diavolo.
Ricacci le mani in tasca, insacchi la testa fra le spalle, gli occhi a terra, come tutti quelli che hanno qualcosa da nascondere e ti addentri nei meandri puzzolenti della cittadina. Per il momento vuoi solo un tetto, domani sarai più riposato... o più stanco... tutto dipende se stanotte troverai una donna disposta a riscaldarti.




Descrizione fisica.

Forma umana: uomo di 35 anni, alto 1.75 m, occhi scuri, capelli dritti e scuri portati a ciocche spettinate, viso affilato, schivo e ambiguo, pelle chiara. Corporatura atletica ma non particolarmente muscolosa. Capita spesso che porti addosso vestiti troppo grandi o strappati (non può mica comprarsi un vestito nuovo ad ogni mutazione!). Ha una cicatrice di circa 10 cm sul braccio sx, verso la spalla, una lacerazione che si è procurato durante una lotta in forma animale con un lupo "vero".

Forma animale: 150 cm di lunghezza e 80 cm di altezza al garrese, 45 kg, corporatura snella e muscolosa, segno che riesce a cibarsi in maniera adeguata ed equilibrata. Sulla zampa anteriore sx il pelo risulta più rado su una striscia di circa 10 cm, dove ha la cicatrice. Particolarmente possente il collo, dove la pelliccia è più folta, così come i ciuffi sulle guance. Il manto è bruno grigiastro, sottolineato da striature più scure, mentre la base del collo e la pancia sono di un beige biancastro (quando è pulito, che non è così scontato)

Carattere.
In entrambe le forme é quel che si dice "un lupo solitario" schivo. Con altri umani preferisce stare in disparte, ascoltare anziché parlare, osservare, annusare, fissare nella memoria ogni caratteristica di chi gli sta intorno, sebbene spesso si sforzi di non sembrare diverso dagli altri. Ma gli costa una certa fatica. A suo agio in forma animale e all'aria aperta, preferisce dormire sotto un albero, disteso sul fianco con il muso fra le zampe posteriori e la coda a coprirlo. Non ha un'indole aggressiva, se può cerca sempre una via di scampo, ma non rifiuta di combattere se si sente minacciato o preso in trappola, prediligendo comunque l'agilità alla forza, al fine di allontanarsi. Non uccide per gusto di farlo, quella è una prerogativa degli umani.

Origine: Svezia
Etnia: vichinga
Animorph indole animale


Richiesta skill: agilità +1 in f.u. (+3 in f.a.)





[Modificato da Joglar1 18/04/2015 13:11]
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