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Dakroth [ESILIATO]

Ultimo Aggiornamento: 21/04/2015 09:22
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Sesso: Femminile
21/04/2015 09:22

Dakroth Fröstangel Larsen

Allineamento: Neutrale puro

Le origini.



Ingvar, distretto di Mälardalen, Svezia.
L'anziano incideva rune sulle pietre, il suo volto ieratico trasmetteva fierezza e compostezza, nonostante lui e gli astanti fossero li per commemorare i morti. Quella volta la spedizione era stata disastrosa. Cinque drakkar, navi veloci e maneggevoli, erano partiti sotto il comando di Dakroth e non ne era tornato nessuno. Una generazione di giovani uomini spazzata via e, quel che era peggio era che ogni donna piangeva, insieme ai morti, la consapevolezza che avrebbero dovuto unirsi agli uomini di altri clan, se volevano ripopolare il villaggio. Ma non sarebbe mai stato il loro sangue.
La donna accanto al vecchio era Ingrid, moglie di Dakroth nonché nuora dell'anziano Björn, incisore e capo clan. Come tutti, in quella pallida giornata battuta dal vento e dal nevischio di un lungo inverno, si stringevano addosso le pelli d'orso, intonando un canto lugubre e profondo, in cui le voci si confondevano con l'ululato del vento. Calde lacrime rigavano il volto sporco di Ingrid, mentre accarezzava il grembo gonfio e sussurrava al bambino, ma la sua voce era coperta dai lamenti del popolo.
Ciò che rendeva ancor più triste il rito era la mancanza dei corpi da seppellire, insieme alle loro armi, le spade, compagne tanto in vita quanto nella dimora di Hel, con il loro potere magico e una personalità ben definita. Avrebbero eretto tumuli senza resti al di sotto.
Infine, come nulla fosse, anche quella giornata volse al termine, gli dei rimasero indifferenti alle pene degli uomini, tranne Fenrir il lupo, uno dei due figli che il dio Loki ebbe da una gigantessa. Egli parlò in sogno a Ingrid, annunciandole che il figlio non ancora nato sarebbe stato come lei. Quella notte Ingrid parlò al figlio "porterai il nome di tuo padre, un grande uomo, ma sarai il mio piccolo angelo del ghiaccio... Dakroth Frõstangel Larsen".

Il passato.



La prima volta nemmeno la ricordo, tanto ero piccolo, ma so che è successo perché avevo paura. Uomini a cavallo, armati, grossi e puzzolenti avevano attaccato il villaggio. Ricordo le urla, il mio terrore che si rifletteva negli occhi di chi incrociava il mio sguardo... e viceversa. Il resto è un racconto di mia madre, ormai confuso e lontano, perso nelle nebbie del tempo e forse gonfiato dall'amore di un genitore. Comunque, ogni volta, un particolare si aggiungeva, così oggi non so cos'è vero e cos'è fantasia. Ma tant'è, questi sono gli unici indizi che ho della mia prima mutazione.
Le unghie si piantarono nel terreno, i solchi a terra erano ben visibili mentre le fauci di quella che agli occhi di chiunque altro poteva sembrare una belva feroce si chiudevano sul mio collo e venivo trascinato via. Strano a dirsi, non sentii alcun dolore, ma la pelle del bambino era già diventata la collottola della bestia.
Mia madre diceva di averlo capito la prima volta che ha posato lo sguardo su di me, diceva di averlo sentito, percepito, che ero uguale a lei. Chissà. Diceva che funziona proprio così, ma che non poteva spiegarmelo meglio perché era una questione di sensazioni, che prima o poi avrei capito. Fatto sta che l'istinto ha guidato la mia prima volta, ma non dev'essere stata una cosa dolorosa, altrimenti penso che lo ricorderei. D'altro canto, quando mia madre si accorse che la metamorfosi era cominciata, decise che doveva lasciar fare a madre natura, che poteva solo trarmi in salvo com'era capace... e quello era il modo migliore, più veloce.
Dopo di allora, con i superstiti abbiamo cominciato a spostarci, ma la pace non durava mai abbastanza. Spostamento, attacco, spostamento, attacco. Non siamo un popolo bellicoso, solo animati da una forte spinta espansionistica, votati alla scoperta e alla conquista. Feriti e morti sono solo il prezzo da pagare, un tributo pesante ma inevitabile.
Infine, il fiordo è diventato la nostra casa, abbiamo costruito imbarcazioni che potevano, all'occorrenza, metterci in salvo. Il mare, che aveva ucciso mio padre, poteva essere la mano salvifica per il figlio.
Nel frattempo, io crescevo ed imparavo, ho avuto la fortuna di avere una madre, tanto umana quanto mutaforma, che mi ha spiegato quanto importante fosse, per me, mischiarmi agli uomini, imparare le loro abitudini e nascondere il mio essere diverso. Diceva che ne avrei avuto bisogno, un giorno, anche se io continuavo a sentirmi più animale che umano ma, allo stesso modo, avrei sentito la necessità d'un branco e di pari razza.
Spesso lasciavamo il clan alle sue attività, per rifugiarci nel folto, dove mia madre poteva insegnare e spiegare ciò che ero. Ma come si fa a dire ad un bambino che è destinato ad essere solo, per quanto possa mischiarsi agli altri?
Mi insegnò a capire i segni del passaggio dell'uomo, quando carovane di carri si spostavano dai villaggi ai mercati, mi insegnò a seguire gli umani per sfruttarne le conoscenze, persino gli avanzi. In forma umana mi insegnò ad arrampicarmi sugli alberi, a correre su terreni impervi, spesso anche senza scarpe... già, in parte anche perché non avevano abbastanza denari per comprarle. Mi insegnò come gettare occhiate fugaci a terra mentre correvo, per non mettere il piede in fallo. Mi ha insegnato quando abbassarmi e quando saltare tra le fronde incolte dei boschi. Mi ha fatto saltare di pietra in pietra per guadare un fiume senza scivolare e finirci dentro. Salta Dakroth, piega le gambe, tienile un po' più larghe, lo vedi quel ramo, ce la puoi fare... no, non così, allungati, dai un bel colpo di reni, alza le braccia, dai forza! E se quel giorno non ci riuscivo, il giorno dopo eravamo di nuovo li, stesso posto, a riprovarci. Il giorno che raggiunsi il ramo pensavo fosse finita. E invece ho dovuto imparare a sollevare anche le gambe fino a poter incrociare i piedi al di sopra, poi a tirarmi su e a girarmi per starci seduto. Giorni e giorni passavano, il solo scopo di mia madre era prepararmi ad arrangiarmi da solo.

Udimmo il ringhio che ormai era fin troppo vicino per tentare la mutazione e fare affidamento sulle zanne. Entrambi ci voltammo nella direzione da cui proveniva il suono e vedemmo l'orso che avanzava con la bava alla bocca. Lento. Ma sapevo che se mi fossi girato per scappare mi avrebbe rincorso ed investito con la furia di una tempesta. Velocemente mi guardai intorno, c'era da usare il cervello. Eravamo in una radura ma poco distante i sempreverdi svettavano verso il cielo e la salvezza. Fui il primo a scattare, attirando l'attenzione dell'orso e lasciando alla mia anziana madre il tempo per mettersi in salvo. La belva cominciò a correre pesantemente, sentivo il terreno tremare sotto ai piedi, come un terremoto. Giunsi correndo sotto il primo albero e sfruttai la velocità per unire i piedi, piegare le gambe e poi stenderle, mentre allungavo le braccia verso l'alto e la schiena si tendeva fino ad arcuarsi all'indietro in un gesto atletico degno dei più allenati lottatori. Certo, la paura e l'adrenalina aiutano. Afferrai il ramo più basso alzandomi da terra e sfruttai la posizione per dondolare le gambe solo una volta, indietro, avanti, fino a toccare con le piante dei piedi il tronco. La zampata in aria dell'orso mi lacerò la tunica ma non mi raggiunse. Mentre lui si metteva in piedi, ebbi il tempo di compiere quei due passi sul tronco per sollevare le gambe oltre il ramo cui ero appeso e, con la tensione dei muscoli, piegai gli arti tirando su tutto il mio peso. Abbrancai... abbracciai il ramo e riuscii a girarmi, trovandomi seduto. Eppure non bastava. Arretrai fino al tronco, per poi alzarmi e recare l'equilibrio, mentre anche l'orso era su due zampe, quelle anteriori poggiate al tronco, lo scuoteva con forza. Dovetti arrampicarmi per qualche metro ancora, prima di sentirmi al sicuro davvero, cercando di mantenere l'equilibrio nonostante tutto mi tremasse intorno. Ce l'ho fatta. Altrimenti non sarei qui a raccontarlo.

In forma animale... beh, ero un lupo, era tutto più semplice, mi sentivo nel mio elemento, ma questo non significa che non avessi ugualmente bisogno di una guida. Segui le tracce Dakroth, non lasciarti fermare da un tronco abbattuto, aggira l'accampamento, non far rumore. Annusa l'aria, segui l'istinto. E le corse contro il vento, con la neve che si abbatteva sferzando il muso, testa bassa e orecchie indietro per combattere il freddo e il vento, per non disperdere calore. E si ricominciava. In piedi sulla lastra di ghiaccio ch'era divenuto lo stagno, le zampe che scivolavano e si aprivano e la pancia e il muso che ci sbattevano contro. Giorno dopo giorno, finché trovai l'equilibrio, finché le zampe non tremarono più e i passi sul viscido ghiaccio si fecero più sicuri, fino a riuscire a correre... un inverno intero! Che fatica! Che soddisfazione!
Mi sono tagliato, ferito, slogato, ma tutto ciò mi ha reso più forte e agile, sciolto nei movimenti, veloce. Posso rubare un pezzo di carne sanguinolenta agli uomini e scappare come un fulmine prima ancora che si accorgano che gli è sparito.

La caccia, tasto dolente che ho dovuto imparare a suon di ceffoni... solo che erano delle musate date con forza dall'alto in basso sul mio giovane cranio. Ho scoperto così che siamo spesso solitari anche in quello.
Freddo. Le quattro zampe piegate, ventre a terra, nascosti sottovento dietro un cespuglio perché l'aria non portasse il nostro odore alla preda, vedevo mia madre con le orecchie alte, nell'atto di cogliere ogni rumore nell'arco di parecchie miglia, il tartufo fremere mentre voltava il suo grosso testone da un lato all'alto, senza spostare un muscolo anche se erano tesi allo spasimo, la coda alta. Vai. Un unico ordine. Secco. Perentorio.
Diressi il mio sguardo sulla sua stessa traiettoria e la vidi. Una lepre era uscita dalla tana, un salto, poi un altro, senza fretta, fermandosi e sollevandosi sulle zampe posteriori, sembrava tener d'occhio ciò che accadeva intorno, sembrava aver capito di non essere sola. Vai.
Lo scatto fu rapido... o almeno così credetti, solo che il cespuglio che ci nascondeva e che saltai come prima cosa, era più alto di quanto pensassi... o io ero più piccolo di quel che sperassi. Insomma, la lepre schizzò via, zigzagando nella neve. Io corsi e corsi e corsi in linea retta, saltai tronchi e corsi ancora, ma la distanza si faceva sempre più ampia. Alla fine crollai. Mia madre mi raggiunse, dandomi l'ennesima capocciata. Dovevo essere silenzioso, più agile e scattante, concentrato, ne andava della mia sopravvivenza e così passammo giorni a migliorare il mio scatto in partenza. Seduto. Disteso. Scatto. Seduto. Disteso. Scatto. Dopo circa una settimana mi rimise nella stessa posizione, in attesa di un'altra piccola preda ignara. Seduto. Disteso. I muscoli tirati allo spasimo, le orecchie e la coda dritti. Quando vidi la lepre non attesi l'ordine di partenza, lo scatto fu perfetto, il pelo del ventre sfiorò il cespuglio solleticandomi, la corsa fu veloce e la traiettoria rettilinea mi permise stavolta di guadagnare terreno. Sentivo la scia del suo odore che mi spingeva a forzare l'andatura. E' stato quando i polmoni stavano per scoppiare e i muscoli per mollarmi che la raggiunsi. Un ultimo balzo, zac. Le zampe anteriori atterrarono esattamente sulla schiena della lepre che si ritrovò bloccata da almeno 25 chili di belva affamata e soddisfatta. L'istinto e la situazione presero il sopravvento, i canini affondarono nel collo della preda, poi la alzai come se fosse un trofeo da mostrare e iniziai a scuotere la testa con forza, fino a quando ogni resistenza si spense.
Avevo dimostrato le mie capacità e quella sera mi addormentai stremato, ma con la pancia piena e con mia madre che mi leccava il muso.
Non lasciò passare molto tempo, eppure ciò che fece di li a breve davvero non me l'aspettavo. Aveva preso contatto con un branco di lupi veri, mi portò in mezzo a loro, lasciò che mi annusassero e si abituassero a me, poco a poco. Il tutto serviva a prepararmi ad un'altra giornata di caccia, totalmente diversa. Avrei partecipato all'inseguimento e allo sfiancamento di una bestia grande il doppio di noi... se non di più. Dovevamo isolarla, braccarla, stringerla in un semicerchio sempre più stretto, mentre la obbligavamo a spostarsi verso la roccia dove la coppia alfa aspettava per sferrare l'ultimo e definitivo attacco. Quando riuscimmo nel nostro intento ed io sentii l'odore del sangue, mi si annebbiò la mente, corsi avanti e feci quello che non avrei dovuto... non avevo atteso il mio turno nella gerarchia del branco. Col mio pezzo di carne tra le fauci sentii il ringhio dietro di me, feci un balzo in avanti, con uno scatto fulmineo mi girai e piantai le zampe a terra, l'avantreno basso, le orecchie indietro, il pelo ritto sul collo e sulla schiena, iniziai a ringhiare a mia volta. Io e l'altro lupo ci fronteggiammo per lunghi momenti, poi lui attaccò. Fece in tempo a lacerare la pelle della zampa sinistra, che mi valse una cicatrice che posso sfoggiare nelle dispute come segno di forza, fierezza e impavidità. Non mollai il trofeo che sanguinava fra i denti. Il secondo balzo lo feci per arretrare, poi un altro girandomi in aria con un colpo deciso di reni. Infine, cominciai l'arrampicata sulla cengia di roccia che portava in cima alla collinetta. Ero io quello braccato adesso e l'altro animale doveva darmi una lezione se voleva mantenere il suo ruolo. Non fu semplice portare a casa la pellaccia. Un salto dopo l'altro, stringendo i denti, guadagnavo altezza e distanza, ero veloce e mettevo in pratica quel che mi era stato insegnato. Gettavo occhiate a terra, individuando ogni volta il masso più adatto, piatto, privo di muschio scivoloso o dei riflessi del ghiaccio, appoggiavo le zampe anteriori il più avanti possibile per lasciare lo spazio a quelle posteriori, poi caricavo il peso su queste ultime e compivo il balzo successivo. Raggiunsi la cima e mi voltai, giusto in tempo per vedere l'alto ruzzolare verso il basso. Avevo vinto.
Quel giorno mangiai, ma avevo superato uno scoglio ben più importante, anziché combattere e rischiare di soccombere contro chi era più grande e forte, avevo scelto di sfruttare le mie innate ed allenate doti di agilità. Era una fuga certo, ma a differenza della società degli uomini, l'aver mangiato prima di lui e averla fatta franca, mi fece salire di un gradino nella scala gerarchica del branco.

Lei mi ha reso ciò che sono, ma lei non c'è più.

Poi il fiordo comincio a starmi stretto, sentivo il bisogno di espandere i miei orizzonti, in fondo ero figlio di mio padre e del mio popolo, mosso dalla stessa sete di scoperta, a cui si aggiungeva la volontà di trovare altri come me.
Adulto, mi imbarcai, lasciando le poche cose che possedevo. Non sono mai stato legato agli oggetti, sono solo strumenti e gli uomini... il mio popolo non poteva più darmi né insegnarmi nulla dalla vita. Dovevo trovare altre vie, altre frontiere, altri orizzonti.
Infine sono giunto qui, alle porte di Barrington. Devo fermarmi, un posto vale l'altro dicono... eppure sono salito e sceso più volte dagli alberi al limitare d'un bosco marcescente poco lontano dalle mura del borgo. Ho osservato gli umani, giorno e notte, entrare ed uscire da quella cinta fortificata e ho visto strane creature. Forse non è vero che un posto vale l'altro. Forse qui posso trovare qualcuno come me.
Sto bene con me stesso anche fossi l'unico, soprattutto nella mia pellaccia coperta di pelo, ma so che da qualche parte ne esistono altri, lo sento, e se non sono l'ultimo della specie, voglio trovarli.

Il presente.



Puzza. Odore di escrementi, di avanzi di cibo, di civiltà, di uomini ammassati in poco spazio. Colpisce i sensi come un pugno allo stomaco. Ritto sulle gambe della tua forma umana, dinanzi ai bastioni del borgo, osservi un corvo con il suo volo sgraziato che va a posarsi su di un punto lassù, sopra l'immenso portale che tiene fuori la natura. Espelli l'aria dal naso con forza, sperando che la prossima boccata d'aria porti qualcosa di meglio. Dopo notti passate a dormire sotto un albero, con il muso fra le zampe posteriori e la coda a coprirlo, hai deciso di buttarti in questa nuova avventura. Mocciosi passano urlano, si rincorrono, l'unica loro preoccupazione è rientrare in casa prima che faccia buio. Piccoli delinquenti in erba. Li segui con lo sguardo, vedendoli sparire all'interno. Le porte della città, come le fauci spalancate di un'immensa creatura che tutto inghiotte. Lo sguardo scivola sulle mura, seguendone il profilo da un lato e dall'altro, sembrano perdersi oltre l'orizzonte, ma sai per esperienza che piegheranno, ad un certo punto, per andare a chiudersi da qualche parte, a retro di tutti quegli edifici che vedi solo in parte. Le guglie di qualche torre più alta.
Varchi per la prima volta l'ingresso di quel borgo che a lungo hai osservato, altri odori. Quelli di un mercato che sta chiudendo i battenti, uova marce, pesce, carne salata. Potresti enumerare ogni mercanzia viva di quel mercato. Lo stomaco si fa sentire, è tutto il giorno che non mangi.
Avanzi fino al centro della piazza, andando a cacciare la testa dentro la fontana. Le mani si portano al volto e strofinano on forza. Via lo sporco, via la stanchezza. Trattieni il fiato fino a non poterne più, fino a quando i polmoni bruciano. Poi riemergi al presente. Scuoti la testa schizzando ovunque, rivoli freddi che scendono lungo il collo, a bagnare pelle e stoffe. Vivo. Sveglio.
Poche persone che si affrettano, il calar della sera che allunga le ombre a terra, qualche torcia inizia ad accendersi qua e la. Nessuno fa caso al forestiero, nessun sorriso, nessun segno di gentilezza ed ospitalità. Non è posto per stomaci deboli questo. Allunghi un braccio per afferrare quello di un passante. Che c'è, che vuoi? Non voglio nulla da te, solo sapere dove posso passar la notte. Il braccio liberato che s'alza ad indicare un intrico di viottoli alle tue spalle. Per di la c'è una taverna, vai al diavolo.
Ricacci le mani in tasca, insacchi la testa fra le spalle, gli occhi a terra, come tutti quelli che hanno qualcosa da nascondere e ti addentri nei meandri puzzolenti della cittadina. Per il momento vuoi solo un tetto, domani sarai più riposato... o più stanco... tutto dipende se stanotte troverai una donna disposta a riscaldarti.

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Carattere.
In entrambe le forme é quel che si dice "un lupo solitario" schivo. Con altri umani preferisce stare in disparte, ascoltare anziché parlare, osservare, annusare, fissare nella memoria ogni caratteristica di chi gli sta intorno, sebbene spesso si sforzi di non sembrare diverso dagli altri. Ma gli costa una certa fatica. A suo agio in forma animale e all'aria aperta, preferisce dormire sotto un albero, disteso sul fianco con il muso fra le zampe posteriori e la coda a coprirlo. Non ha un'indole aggressiva, se può cerca sempre una via di scampo, ma non rifiuta di combattere se si sente minacciato o preso in trappola, prediligendo comunque l'agilità alla forza, al fine di allontanarsi. Non uccide per gusto di farlo, quella è una prerogativa degli umani.

Origine: Svezia
Etnia: vichinga
Animorph indole animale


Agilità +1

Forma umana: uomo di 35 anni, alto 1.75 m, occhi scuri, capelli dritti e scuri portati a ciocche spettinate, viso affilato, schivo e ambiguo, pelle chiara. Corporatura atletica ma non particolarmente muscolosa. Capita spesso che porti addosso vestiti troppo grandi o strappati (non può mica comprarsi un vestito nuovo ad ogni mutazione!). Ha una cicatrice di circa 10 cm sul braccio sx, verso la spalla, una lacerazione che si è procurato durante una lotta in forma animale con un lupo "vero".

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DESCRIZIONE FORMA ANIMALE PRIMARIA
150 cm di lunghezza e 80 cm di altezza al garrese, 45 kg, corporatura snella e muscolosa, segno che riesce a cibarsi in maniera adeguata ed equilibrata. Sulla zampa anteriore sx il pelo risulta più rado su una striscia di circa 10 cm, dove ha la cicatrice. Particolarmente possente il collo, dove la pelliccia è più folta, così come i ciuffi sulle guance. Il manto è bruno grigiastro, sottolineato da striature più scure, mentre la base del collo e la pancia sono di un beige biancastro (quando è pulito, che non è così scontato)

BONUS
Metri percorribili in un round: giovane 7, adulto 8, veterano 9
Resistenza magica : giovane n/n, adulto n/n, veterano n/n
Infravisione : giovane +1, adulto +1, veterano +1
Sensi sviluppati : giovane udito, vista, olfatto; adulto udito, vista, olfatto, veterano udito, vista, olfatto
Bonus taglia : giovane +1, adulto +1, veterano +1
Capacità singolari: incutere timore, resistenza animale
SKILL FISICHE DI BASE: resistenza 0, potenza 0, agilità +2


MALUS
-Non parlano
-Non manipolano oggetti o impugnano armi,
-Non possono effettuare azioni complesse dove sono necessariamente richieste le "mani"
-Generalmente a disagio in condizioni affollate (vs umanoidi) e all'interno di costruzioni
-Diffidenza generale verso esseri non ben conosciuti.. contrastata da una spiccata curiosità che può portare a trovarsi in pericolo.

Incutimore Timore
Questa capacità di alcune razze altro non è che l’infondere paura negli avversari sia per intimidirli, sia per metterli in fuga, sia per farli desistere da un attacco. Viene espressa da un linguaggio tipicamente corporale, con ringhi, ruggiti, artigli e muscoli in mostra. In base al livello sarà possibile avere effetti differenti sulle vittime. NON ha effetto su esseri non intelligenti. Incutere timore comporta una azione completa, pertanto non sarà possibile attaccare nello stesso round in cui si adopera tale capacità. NON può essere utilizzata più volte contro la stessa vittima nel corso di un singolo combattimento.

LIVELLO 1 tramite il linguaggio del corpo sarà possibile mettere in fuga avversari non determinati, o incutere timore in avversari comunque determinati ad attaccare, caso in cui il primo attacco subirà una penalità a discrezione del master a causa dell’esitazione dovuta alla paura


Resistenza Animale

Caratteristica tipica della razza dei Lupi è la loro resistenza agli sforzi prolungati ed al freddo (naturale e magico, sebbene si limitino gli effetti del freddo, e non la componente magica: non è resistenza magica). Questa capacità è dovuta alla conformazione stessa del loro fisico, che sopporta molto bene gli sforzi prolungati (ma non le ferite, per questo differisce da resistenza fisica), e alla pelliccia che contraddistingue questi animali, spesso oggetto del desìo di molti cacciatori

LIVELLO1 fisico sviluppato normalmente, pelliccia tenera e morbida che permette di resistere a temperature rigide (-10 gradi) senza malus, o al freddo magico (0 gradi). Capacità di non risentire di sforzi prolungati per 7 round



[[ . Alyesine Jaqueline Michelle Von Helsing . ]]
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